Romanzo di Alice Basso, 2015.
Opera prima, e si vede. Mi dicono che sia un caso di successo dell'editoria italiana dell'anno scorso, e lo vedo meno.
Leggibile, carino, divertente, almeno a tratti. Piuttosto confuso nello sviluppo, come ammette anche l'autrice nell'intervista a se stessa pubblicata a piè di libro. Lei lo mette in positivo, dicendo che ci ha messo dentro tutto quello che le piace. Il problema è che ci sono parti che le vengono meglio, altre meno.
Vani di mestiere fa la ghostwriter, quello che in italiano si chiama(va) negro, ovvero scrive libri per personaggi famosi che non ne hanno tempo, voglia, o capacità, senza metterci il nome. Lo fa come il buon Benjamin Malaussène fa il capro espiatorio secondo Daniel Pennac, ovvero con gran modestia, e come se la sua fosse una occupazione normale. Ha un capo con cui ha una relazione molto conflittuale basata su reciproca stima e disgusto. Nel corso della sua innominabile carriera, la vediamo lavorare solo a libri di gran successo, di materia estremamente disparata. Il primo, un saggio scientifico divulgativo, serve solo per farci capire quanto sia brava e capace di adattarsi. Il secondo, un romanzo di ambientazione americana, le fa incontrare l'uomo che le farà girare la testa e che sarà al centro della trama chick-lit. Il terzo, un saggio paranormale, ha lo scopo di introdurre una trama gialla e il secondo uomo che serve sia per complicare il lato romantico sia per dare più corpo allo sviluppo poliziesco (trattasi infatti di commissario).
Concentrandosi sul terzo lavoro di Vani, eliminando la componente hard-boiled, sviluppando meglio l'ambiente esoterico e tutta la fuffa che si può pensare si annidi da quelle parti si ottiene ... ohibò, Il pendolo di Foucault di Umberto Eco. E questo da un'idea di quella che penso sia la debolezza fondamentale del romanzo. Troppa roba e trattata di corsa. Non si approfondisce, si corre velocemente su troppi temi, come se si volesse fare un rapido riassuntino per il lettore che non ha tempo di leggere cose più sostanziose.
E nello sviluppo c'è spazio anche per molto altro, ad esempio un crossover con il genere young-adult, grazie al fatto che Vani incontra una ragazzina, Morgana, che è il suo clone, e così viviamo una sorta di flashback con Vani che cerca di modificare quello che sa potrebbe essere il suo futuro.
A mio parere, la parte migliore sta nella narrazione dei dolori della giovane (non più giovanissima, tarda trentina, ma si sa, i tempi di maturazione degli umani nei paesi occidentali si sono ridicolmente allungati) Vani. E deve averlo capito bene anche la Basso, visto che ha scelto di seguire la protagonista lasciandole in uso esclusivo l'io narrante. Questo però va a scapito di tutti gli altri personaggi, che risultano davvero poco sviluppati.
La parte peggiore sono i dialoghi. Improponibili. La gente non parla così. Avrà provato l'autrice a leggere ad alta voce quello che i suoi personaggi dicono? Avrebbe dovuto. Spero, nel suo interesse, che lo faccia per quello che sembra essere l'inevitabile seguito.