L'ho letto qualche tempo fa, ma solo oggi, spinto dalla lettura di quel che ne pensa Marco Il Bibliofilo, mi decido a buttar giù qualche riflessione che mi è venuta dalla lettura dell'ultimo (*) romanzo dedicato al commissario Montalbano.
Prima cosa, per tutto il tempo della lettura ho pensato che Camilleri avrebbe dovuto dare una bella rilettura al testo prima di darlo alle stampe. Dato il suo peso editoriale, non credo che in Sellerio si azzardino a modificare la sua stesura originale. Poi scopro, leggendo le note finali, che questo è il suo primo lavoro da quando ha perso la vista, e che l'opera di scrittura è stata mediata dai suoi collaboratori. Ci sono restato male, però il punto rimane. Mi pare che manchi un equilibrio al racconto, troppo sbilanciato sulla prima parte, che evidentemente tratta un argomento che all'autore sta particolarmente a cuore ma che non è rilevante all'interno della struttura al punto da giustificare l'imponente numero di pagine dedicatogli.
Sono passati molti anni dal precedente Montalbano che ho letto, e questo mi ha fatto venire il dubbio se lo stile di Camilleri sia cambiato nel tempo, se la mediazione del suo team abbia influito sul risultato, o se sia stato il mio gusto per la lettura che abbia preso strade diverse. Fatto sta che, pur riconoscendo l'atmosfera vigatese con tutti i soliti personaggi che la popolano, mi sono chiesto più volte se non fosse cambiato qualcosa di sostanziale in questi anni che però non sono riuscito ad identificare.
Visto dal punto di vista puramente giallo, il romanzo consta di due casi che hanno ben poco in comune. Nel primo Montalbano indaga su di uno stupro avvenuto in mare, che viene risolto grazie alla sua capacità di osservazione. Il secondo è invece relativo ad un bell'efferato omicidio (**) su di persona con cui il Montalbano aveva appena stabilito un'amicizia che sembrava destinata a diventare profonda. Che poi è una delle regole del gioco, mai diventare amici del protagonista di una serie gialla, le possibilità di schiattare in modo orribile aumentano incredibilmente.
La morta è una sarta, e non si capisce chi possa averla uccisa e perché. Le indagini vengono condotte con una approssimazione tale da far rizzare i capelli. Tanto per dirne una, si capisce subito che il mistero sarebbe grandemente semplificato se si facesse richiesta dei tabulati telefoni relativi alle linee, fisse e mobili, della signora. Eppure nessuno fa una mossa in tal senso. Forse perché sono tutti impegnati a gestire il gran traffico di migranti che passa da quelle parti, e la lucidità necessaria per usare la logica se ne è andata a ramengo.
Meno spiegabile mi pare sia l'assassina stessa, che fa trovare al commissario una lettera-spiegone in cui chiarisce tutti i dettagli, molti dei quali sarebbero restati completamente oscuri al commissario e ai lettori. Forse si è voluta levare un peso dalla coscienza, senza però pagare il fio dei suoi peccati? Ma perché farlo quando ancora poteva essere beccata, meglio sarebbe stato sparire e mandare l'incomprensibile missiva una volta che si fosse sentita al sicuro.
Nonostante tutto, l'indagine mantiene un suo bislacco fascino, anche se il commissario sembra sempre più interessato al cibo e sempre meno a tutto il resto. O forse proprio per questo.
(*) Ultimo solo per il momento, ho letto da qualche parte che sarebbero già ben avviati altri due episodi della saga.
(**) "Bello" nel senso di in linea con le aspettative del genere.